Mahi va gorbeh
CULTURA
Pesce e gatto, film dell'iraniano Shahram Mokri
Visto finalmente Mahi va gorbeh, Pesce e gatto, film iraniano vincitore allo scorso Festival di Venezia del Premio speciale Orizzonti per il contenuto innovativo. Mi è piaciuto? Sinceramente non lo so. Forse avevo aspettative troppo alte, ma quanto avevo letto mi intrigava parecchio.
La storia è in parte tratta da un episodio di cronaca: nel 1998 venne infatti scoperto un ristorante sul Mar Caspio che aveva cucinato carne umana. La trama del film sembra un classico del cinema horror made in Usa: un gruppo di studenti campeggia in una plumbea giornata di dicembre e viene a contatto con i sinistri gestori di un ristorante nelle vicinanze.
Scritto e diretto da Shahram Mokri, è costituito da un unico piano sequenza di 123 minuti. Nonostante ciò, il film non è narrato in modo sequenziale, ma circolare. La macchina da presa segue di volta in volta i vari personaggi che si incrociano. In questo modo, alcune scene le vediamo più volte e sono nell’ultima sequenza veniamo a capo del mistero alla base del film.
Il regista, dopo due settimane di prove, ha girato due ciak e alla fine ha scelto la mega sequenza migliore.
Esperimento coraggioso e sicuramente interessante, ma un po’ troppo lungo nei tempi e in alcuni dialoghi.
Un’ultima considerazione: ma perché in qualsiasi film iraniano bisogna per forza trovare un messaggio politico? La recensione di My Movies si conclude così:
«Una riuscita e coraggiosa metafora di un Paese che fagocita i propri giovani, che li priva di un qualsiasi futuro, tarpandone le ali».
Sarà. Ma a me sembra un po’ una forzatura.
Mahi Va Gorbeh (Fish & Cat) di Shahram Mokri – Iran, 134′
v.o. farsi – s/t inglese, italiano
Babak Karimi, Saeed Ebrahimi Far, Abed Abes
Note del regista
Mahi va gorbeh è un film sul tempo, su come creare una prospettiva all’interno del tempo e, dunque, su come sconvolgere il tempo. Ciò che mi ha affascinato nel fare questo film è lo stile della sua realizzazione: l’insistenza su uno stile narrativo entro i confini della ripresa unica e il tentativo di immettere, in quell’unica ripresa, fessure temporali. Ho scelto di raccontare una storia vera, una storia vera che, tuttavia, assomiglia a un incubo irreale.