Ali Shariati sul Nowruz

CULTURA

Davood Abbasi

10/25/20222 min read

Dal libro "Kavir". Tradotto in italiano da Davood Abbasi

È difficile dire qualcosa di nuovo sul Nowruz. Il Nowruz è una festa nazionale, una festa nazionale che tutti conoscono; tutti sanno in cosa consiste, lo si celebra tutti gli anni e ogni anno si parla di esso. Tanto è stato detto e tanto abbiamo sentito e quindi forse non c’è bisogno di ripetere?

E invece c’è bisogno. Non festeggiamo sempre e ogni volta il Nowruz? Ed allora dobbiamo anche parlarne sempre e ogni volta. Nella Scienza e nella Letteratura, la ripetizione è un difetto e la “mente” non ama le ripetizioni. Il “sentimento” però ama la ripetizione, la natura ama la ripetizione, la società ha bisogno di ripetizione e la natura è in qualche modo “esito” del ripetersi: la società diventa forte con fenomeni che si ripetono, il sentimento si rafforza con ciò che si ripete ed il Nowruz è una storia affascinante in cui hanno un ruolo la Natura, il Sentimento e la Società.

Il Nowruz, che da secoli si vanta dinanzi a tutte le altre feste del mondo, è cosi superbo perchè non è una festa artificiosa di una società o una festa politica imposta. È la festa del mondo, è il giorno della gioia della Terra, del cielo e del Sole, la festa della fioritura, dell’emozione della nascita, piena del sussulto di qualsiasi “inizio”.

Le feste degli altri, sottraggono gli uomini alle loro botteghe, ai loro campi, alle pianure, ai deserti, alle viuzze, ai mercati, ai bazar, ai giardini ed ai campi e li conducono in mezzo alle stanze e li recingono sotto i tetti e dietro alle porte chiuse: ed ecco che si festeggia nei bar, nelle discoteche, nei sotterranei, nei saloni, nelle case…In dei spazi riscaldati col petrolio, illuminati con lampade che tremolano, con il fumo, abbellite con colori e fiori di carta, di cartone, di cera, profumati con incenso, profumi artificiali ed ecc…

Il Nowruz invece prende per mano la gente e la porta via da sotto quei tetti e da dietro quelle porte chiuse, e dagli spazi soffocanti creati da muri alti e vicini delle città e delle case, la porta nel cuore libero e senza confini della natura: ed allora è il Sole che riscalda, e se la luce trema è per l’emozione della Creazione e del Creato, la bellezza è esito dell’arte del vento e della pioggia, le decorazioni sono fatte di boccioli, germogli profumati dall’odore della pioggia, l’odore della menta, della terra, dei rami lavati e resi lindi dalla pioggia…

Il Nowruz è il rinnovo dei ricordi di grandiosità: la commemorazione della parentela tra Uomo e Natura. Ogni anno, questo figlio sbadato che è interno ai lavori artificiali ed alle sue costruzioni complesse, si dimentica della propria madre, ma con il ricordo pieno di tentazione del Nowruz, questo figlio torna ad aggrapparsi alla gonna della madre e con lei festeggia questo ritorno. Il figlio, abbracciando la madre, ritrova se stesso, e la madre, con il figlioletto accanto, sboccia dalla gioia e piove lacrime di gioia, canta dalla gioia, diventa giovane e rinasce. È come Giacobbe che riacquista la vista, ritrovando il suo Giuseppe.

Più la nostra civiltà diventa complessa, pesante e artificiale, può per l’uomo è vitale questo ritorno e questa riscoperta della Natura; per questo motivo, al contrario delle altre tradizioni che vanno scomparendo, o che inutilmente si rafforzano, il Nowruz è una terza via che mette d’accordo Lao Tse, Confucio, Rousseau e Voltaire.

Il Nowruz non è solo un’opportunità per il riposo, il piacere ed il divertimento: è anche la necessità di una società, la linfa vitale di un popolo. In un modo fondato e basato sul cambiamento, la modifica, la distruzione, il disordine, la perdita, dove l’unica cosa fissa è proprio il cambiamento, quale difensore migliore si può trovare rispetto al Nowruz, per difendersi dallo spietato carro di battaglia del Tempo, che arriva, distrugge e annienta qualsiasi cosa?

Nessun popolo si forma in una o due generazioni: un popolo, è l’insieme collegato di numerose generazioni consecutive, ma il tempo, questa lama spietata, interrompe il legame tra le generazioni, ci allontana dai nostri avi, da coloro che hanno costruito la nostra società e il nostro popolo, nella valle profondissima della storia, un precipizio tremendo di secoli ci divide da loro: sono solo le tradizioni che nascondendosi all’occhio del Tempo boia, ci fanno passare attraverso questa valle spaventosa e ci fanno conoscere i nostri avi ed il nostro passato. Nel volto sacro di queste tradizioni, che noi sentiamo nel nostro tempo, al nostro fianco e nel nostro essere, riusciamo a vederci vicini ai nostri avi ed il Nowruz, è una delle tradizioni più affascinanti e robuste.

In quei momenti in cui celebriamo il Nowruz, è come se anche noi fossimo presenti in tutti i Nowruz che si sono celebrati in questa Terra e allora riusciamo a vedere davanti a noi le pagine chiare e buie e i fogli bianchi e neri della storia del nostro popolo arcaico. La fede nel fatto che ogni anno il nostro popolo ha festeggiato il Nowruz, in questa terra, risveglia in noi questi pensieri emozionanti: il Nowruz lo hanno festeggiato ogni anno, si ogni anno, anche l’anno in cui Alessandro aveva colorato di rosso questa terra con il sangue della nostra gente, accanto al fuoco che si levava fino al cielo nella città di Persepoli, persino lì, in quell’anno, il nostro popolo in lutto, festeggiò con più serietà e con una fede infuocata; e quando Al-Muhallab, commetteva continuamente stragi nel Khorasan, nella triste quiete delle città ferite, e accanto ai Templi del Fuoco freddi e spenti, la gente festeggiò con calore ed emozione.

La storia ci racconta di un uomo del Sistan, che quando gli arabi avevano dominato tutta questa terra portandola sotto la spada del califfo della Jahiliyah, raccontava le tragedie della distruzione delle case e dello smarrimento dei soldati e coi suoi lamenti faceva piangere la gente, e suonava la sua arpa e diceva: “Abatimar: ci vuole un pò di gioia”; il Nowruz in quegli anni ed in tutti gli altri è stato una gioia di questo tipo, non uno svago ed un divertimento inutile.

È stato la dichiarazione di sopravvivenza, di resistenza, esistenza di questo popolo ed il simbolo del suo legame con un passato che il Tempo e gli accadimenti disastrosi del Tempo hanno cercato invano di distruggere. Il Nowruz è sempre stato caro; è stato caro ai Magi ed ai Mubad zoroastriani, è stato caro ai musulmani e ai musulmani sciiti. Tutti hanno amato il Nowruz e ne hanno parlato.

Persino i filosofi e gli scienziati che dicono: “Il Nowruz è il primo giorno della Creazione, quando Ahura Mazda ha creato il mondo e ha impiegato 6 giorni nella creazione e il sesto giorno, la Creazione è finita e per questo il primo giorno di Farvardin si chiama Ahur Mazd ed il sesto giorno di Farvardin è un giorno ritenuto sacro. Quale leggenda è più bella della storia vera?

Ognuno di noi non ha la sensazione che il primo giorno dell’esistenza, è stato il primo giorno della primavera?

Se Dio ha iniziato un giorno questo mondo, quel giorno, era sicuramente un Nowruz. Sicuramente la primavera era la prima stagione, Farvardin il primo mese, e il Nowruz il primo giorno del Creato. Dio non può aver iniziato questo mondo e la Natura con l’autunno, l’inverno o l’estate.

Indubbiamente, in quel primissimo giorno, in quel primo giorno della prima primavera, i germogli devono avere iniziato a spuntare, i fiumi devono aver iniziato a scorrere, i fiori a sbocciare. Ed allora anche lo spirito umano è nato sicuramente in questo giorno ed anche l’amore è nato per la prima volta in questo giorno, ed allora anche il Sole è sorto per la prima volta in questo giorno, ed il Tempo, in questo giorno, ha iniziato a scorrere.

L’Islam, che fece impallidire il colore del razzismo, e cambiò le tradizioni, esaltò al massimo il Nowruz, e con un sostegno forte, evitò che questa festa venisse danneggiata nell’era in cui gli iraniani divennero musulmani.

La scelta di Alì come califfo ed erede del profeta, presso i pozzi di Ghadir-e Khom, si verificò in tale giorno, e che coincidenza meravigliosa, tutto quell’amore alimentato dalla fede che gli iraniani provavano per Ali e il suo governo, divenne un sostegno per il Nowruz. Il Nowruz che era vivo col nazionalismo, prese anche spirito religioso: una tradizione nazionale ed etnica, si collegò alla fede ed all’amore potente e fresco che si era creato nei cuori della gente di questa terra e così diventò sacra, e nel periodo safavide, il Nowruz divenne ufficialmente uno slogan sciita, pieno di fede, preghiere, invocazioni; un anno il Nowruz e Ashura coincisero e lo Scià safavide celebrò il lutto quel giorno per Ashura, ma il giorno dopo festeggiò il Nowruz.

Questo anziano che ha sul volto la polvere dei secoli, nella sua storia antichissima, un tempo, sentiva accanto ai Magi le preghiere degli adoratori della dea Mehr (la dea del Sole), poi ha sentito le preghiere dei Mubad e li ha ascoltati quando sussurravano l’Avesta, lodando Ahura Mazda, dopo ha sentito le lodi di Allah e i versetti del Corano, ed infine, ha sentito anche la voce delle preghiere degli sciiti innamorati di Ali e del suo governo e con tutte queste voci e queste preghiere, questo anziano, ha vissuto con tutti i nostril antenati, tutte le generazioni e tutti i secoli, dai tempi del leggendario Jamshid fino ad oggi. Ha vissuto sempre ed ha sempre fatto il suo dovere, con potenza, amore e fedeltà, ed il suo dovere è stato quello di allontanare la stanchezza, la morte e la tristezza dal volto di questo popolo ferito; il suo dovere è stato quello di amalgamare con lo spirito di questo popolo, la leggiadria e la vitalità della Natura, ed ancora più importante, il Nowruz ha collegato le generazioni di questo popolo che seduto all’incrocio degli eventi della Storia, è stato afflitto dalla lama dei boia, dei ladroni e dei costruttori di minareti di teste mozzate, stringendo un patto di unità tra tutte le diverse generazioni, che altrimenti sarebbero state divise dal profonde burrone del Tempo.

E noi in questo momento, in questi primi istanti della Creazione, nel giorno di Urmazd, accendiamo di nuovo il fuoco divino del Nowruz, e nel profondo della nostra coscienza, con la forza dell’immaginazione, sorvoliamo le pianura nere della morte dei secoli vuoti, e festeggiamo sotto al cielo lindo e soleggiato della nostra terra, insieme a tutte le donne e gli uomini il cui sangue scorre nelle nostre vene e la cui anima continua a vivere nel nostro spirito. E cosi ricordiamo la nostra esistenza, come un popolo, e doniamo eternità al nostro essere in mezzo all’uragano degli accadimenti portati dal Tempo, e dinanzi all’aggressione di questo secolo ostile che ci ha alienati da noi stessi, e ci ha resi una preda facile e senza forza di questo Occidente saccheggiatore, in questo appuntamento della Storia dove sono presenti tutte le generazioni della Storia e tutti i nostri miti, stringiamo con loro un patto, prendiamo da loro in custodia l’amore e promettiamo loro che non moriremo mai, e che vivremo in eterno come un popolo, che in questo deserto immense dell’umanità, ha affondato le radici in un terreno ricco di cultura, sacralità e imponenza.


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