Chi sono gli Hojjatieh

STORIA

Nicola Pedde

5/4/20222 min read

Storia della controversa organizzazione religiosa sciita costituita all’indomani del colpo di Stato del 1953

Costituita all’indomani del colpo di Stato del 1953 come organizzazione religiosa sciita a composizione laica, l’Hojjatieh fu concepita come uno strumento per il contrasto alla diffusione del bahaismo, attraverso la formazione di una classe dirigente capace di una “difesa scientifica” dell’Islam sciita.

Il fondatore dell’Hojjatieh, il giovane seminarista Mahmud Zekrzadeh Tavallai, più comunemente noto come Mahmoud Halabi, riteneva concreta la minaccia di una diffusione del bahaismo – portatore di una visione eretica della rivelazione del Mahdi – e da giovane seminarista cercò di sensibilizzare senza successo il clero della città di Qom.

Si è più volte sostenuto che Halabi fosse stato un fervente sostenitore del primo ministro Mohammad Mossadegh, e un seguace dell’ayatollah Abol-Ghasem Mostafavi Kashani, sebbene risulti concretamente difficile poter sostenere con certezza questa forma di militanza.

Nel 1953, non riuscendo a convincere alcun esponente di vertice del clero del suo progetto, decise di costituire a Mashad un gruppo formato da laici, cui impartire una solida formazione e ai quali attribuire il compito di formare a loro volta le nuove élite intellettuali dell’Iran, attraverso la capacità scientifica di contrastare il proselitismo dei Bahai.

La missione dell’Hojjatieh fu quella di divulgare i principi tradizionali dello Sciismo, sebbene attraverso il tentativo di adeguarne i dettami alla realtà del mondo contemporaneo, allo scopo di formare una nuova élite intellettuale di forte impronta religiosa e per contrastare quello che veniva reputata come la dilagante diffusione del bahaismo e del suo credo della rivelazione.

A dispetto dell’avversione dell’Hojjatieh per la dottrina bahaista, l’organizzazione si caratterizzò sempre per il più assoluto rifiuto della violenza e non prese parte in alcun modo, né prima né dopo la rivoluzione, alle persecuzioni che interessarono questa comunità.

Mahmoud Halabi fu noto per il suo pacifismo e per il rifiuto dell’approccio rivoluzionario di una parte del clero, ritenendo che questo avrebbe potuto rappresentare una realtà falsata del disordine dal quale sarebbe riapparso il Mahdi per riportare ordine e giustizia sulla terra. Questo approccio quietista e tradizionalista venne al contrario progressivamente rifiutato dall’Ayatollah Khomeini e dal suo entourage, che invece promuoveva lo spirito rivoluzionario al fine di determinare le condizioni per l’instaurazione di un governo islamico atto a favorire e accelerare la venuta del Mahdi.

Questa distanza nelle posizioni tra Halabi e Khomeini non rappresentò un particolare ostacolo per l’Hojjatieh, soprattutto in conseguenza dell’arresto e del successivo esilio dal 1963 al 1979 del futuro leader della rivoluzione. L’Hojjatieh non fu poi mai oggetto di alcuna politica ostile da parte delle istituzioni monarchiche, che si limitarono ad esigere l’adozione di una formale registrazione associativa e l’impegno ad astenersi da qualsiasi iniziativa politica, subendo periodici controlli senza troppo interesse da parte della Savak. Questa condizione di equilibrio con le autorità monarchiche assumerà dopo la rivoluzione il presupposto dei sospetti che porteranno alla condanna dell’Hojjatieh e alla sua messa al bando, adombrando la figura di Mahmoud Halabi e attribuendo un alone sinistro all’intera organizzazione.

Dopo un’iniziale – e infruttuosa – avvio delle attività nella città di Mashad, l’Hojjatieh stabilì il proprio centro principale a Tehran, dove nel corso degli anni Sessanta riuscì a reclutare nei propri ranghi un crescente numero di aderenti, progressivamente strutturatisi in una complessa quanto secretiva organizzazione.

L’ingresso di giovani studenti, poi transitati nelle università e negli apparati istituzionali del paese, permise di organizzare il lavoro dei membri dell’Hojjatieh secondo una matrice complessa, composta da reclutatori, studiosi e formatori, grazie ai quali nella prima metà degli anni Settanta fu possibile articolare il lavoro dell’organizzazione in diverse città dell’Iran.

Venne predisposto uno specifico materiale documentale utilizzato per la formazione dei nuovi membri, attraverso tre gradi di formazione e una procedura didattica impostata al più assoluto riserbo, mentre altri membri dell’organizzazione erano impegnati nell’azione di conversione dei Bahai o nella “correzione” di coloro che erano entrati in contatto con la rete missionaria bahaista.

La rete dell’Hojjatieh riuscì con successo ad infiltrarsi nelle comunità Bahai del paese, spesso assumendo ruoli di notevole importanza, dissimulando la proprie provenienza e il proprio credo, con l’intento di convertire dall’interno – e da una posizione di rilevanza gerarchica – quanti più membri possibile delle diverse comunità.

Non si conoscono i numeri dell’organizzazione della Società degli Hojjatieh, ma è noto che negli anni Settanta erano riusciti a sviluppare una capillare presenza in tutto l’Iran, con ramificazioni in Pakistan e India.

La crescita dell’organizzazione, e la sua capacità di conquistare il sostegno di alcuni esponenti di spicco del clero sciita iraniano, determinò tuttavia l’insorgere di rivalità e critiche, soprattutto nell’ambito di quelle componenti del clero – certamente minoritarie all’epoca, ma non certo imbelli – orientate all’attivismo politico e impegnate nel contrasto al ruolo della monarchia.

La rivoluzione del 1979 determinò una fase di profonda crisi per l’Hojjatieh. Mentre il vertice dell’organizzazione guardava con scetticismo al fervore rivoluzionario, e soprattutto alla manifestazione violenta del pensiero religioso, molti dei suoi aderenti parteciparono alle proteste sin dalle prime fasi, invocando la caduta dello Scià e l’impossibilità di un compromesso.

Il fervore rivoluzionario di molti portò a giudicare l’immobilismo dell’organizzazione come un tradimento dei valori islamici, provocando un gran numero di defezioni. L’Ayatollah Khomeini definì ben presto l’Hojjateh come un circolo retrogrado e sospetta la sua astensione della politica, facendo aleggiare il sospetto di una pregressa collusione con la monarchia. Ben presto l’avversione si trasformò in minaccia e Mahmoud Halabi ritenne opportuno sciogliere ufficialmente l’organizzazione nel marzo del 1984, dandone notizia il 25 dello stesso mese in un editoriale pubblicato dai quotidiani Keyhan ed Ettelat.

Manipolazione post-rivoluzionaria della storia degli Hojjatieh

Con la cessazione delle attività dell’Hojjatieh e il suo formale discioglimento, la storia e il ruolo dell’organizzazione furono oggetto di critiche nell’ambito di tutte le componenti rivoluzionarie, tanto quelle di ispirazione religiosa quanto quelle di estrazione laica o marxista. Gli Hojjaieth vennero accusati di aver perseguito uno scopo anti-rivoluzionario e – di fatto – restauratore, esprimendo un pensiero borghese e simpatetico per l’imperialismo.

La storia dell’organizzazione subì spesso manipolazioni e interpretazioni orientate ad un cospirazionismo che, progressivamente, portò a far assumere al nome dell’Hojjatieh un connotato estremamente negativo, contro-rivoluzionario e, non di rado, ai margini dell’eresia.

In tal modo, il nome dell’Hojjatieh continuò ad aleggiare sulla politica iraniana post-rivoluzionaria come uno spettro, venendo spesso strumentalizzato a fini politici per attribuire ad esponenti delle istituzioni o della cultura un connotato sovversivo, cospiratorio ed anti-rivoluzionario.

Questa manipolazione transitò anche attraverso l’attribuzione di un profilo di fanatismo all’organizzazione e ai suoi membri, falsamente accusandoli di aver promosso una violenta repressione delle comunità Bahai a partire dai primi anni Cinquanta, servendo un compiacente Scià e perseguendo in tal modo una strategia di sostegno al precedente regime contro le spinte rivoluzionarie interne alla comunità clericale.

Lo spettro dell’Hojjatieh tornò ad aleggiare sulla scena politica iraniana all’indomani delle elezioni del 2005, quando Mahmoud Ahamdinejad trionfò al ballottaggio contro Ali Akbar Hashemi Rafsanjani.

L’ayatollah Mohammed Reza Tavassoli, di area riformista, si schierò con Rafsanjani nel denunciare irregolarità nello spoglio del voto, apertamente accusando il mentore religioso di Ahmadinejad, l’ayatollah Mesbah Yazdi, di essere implicato in una manovra oscura che aveva riportato gli Hojjatieh ad assumere il controllo del governo.

Ancora una volta, quindi, il nome dell’Hojjatieh veniva in tal modo associato implicitamente a quelle forze politiche accusate di essere espressione di una concezione contro-rivoluzionaria e radicale, permeando in particolar modo il contesto politico rappresentato dalle formazioni dagli Abdagaran e degli Issargaran.

La prima di queste due formazioni, nella sostanza una piattaforma politica congiunta, conquistò un gran numero di voti tra il 2003 e il 2004 nelle elezioni parlamentari ed amministrative, riuscendo poi ad affermarsi nelle elezioni presidenziali del 2005 con la vittoria di Mahmoud Ahmadinejad.

L’Abadgaran fu principalmente composto da veterani della guerra con l’Iraq ed ex membri della Sepah-e Pasdaran e dei Basiji, nel comune convincimento che una deriva politica e morale aveva fatto deragliare il paese rispetto al progetto originale delineato dall’Ayatollah Khomeini. Ciò che l’Abadgaran propugnava, quindi, era una svolta virtuosa in direzione di una più radicale concezione del ruolo della politica, contrastando il declino dell’originale spirito rivoluzionario. Al tempo stesso, i detrattori di Ahmadinejad e dell’Abadgaran, cercarono anch’essi di attribuire alla formazione politica un connotato anti-rivoluzionario ed ostile al velayat-e faqih, alimentando il sospetto che il movimento fosse in realtà espressione di una rinnovata capacità della società degli Hojjatieh, nel tentativo di perseguire una strategia di contrasto ai valori e alle istituzioni rivoluzionarie.

Gli Issargaran rappresentavano invece un’associazione di ex combattenti (Jamiyat-e Issargaran-e Enghelab-e Islami) accomunati anch’essi dalla percezione di una decadenza morale e spirituale alimentata dalla deriva economica imposta dalle formazioni della destra teocratica. Scontenti del ruolo politico ed economico promosso dalla prima generazione del potere, gli Issargaran, costituiti nel 1999 sotto forma di associazione, si impegnarono nella promozione di una nuova generazione politica in larga misura espressa all’interno del proprio contesto generazionale, rendendosi preziosamente funzionale per i successi politici dell’Abadgaran tra il 2003 e il 2005.

Bibliografia

“History and philosophy of Hojjatieh society”, Archives of Baha’i persecution in Iran, 10 marzo 2013.

“Iran’s Rafsanjani renews firestorm over election fraud”, Iran Focus, 19 luglio 2005.

Frederic M. Wehrey (a cura di), Dangerous but not onnipotent. Exploring the reach and limitations of Iranian power in the Middle East, Rand Corporation, 2009, p. 25.

Daniel Brumberg e Farideh Farih, Power and change in Iran: politics of contention and conciliation, Indiana University Press, 2016, pp. 43-44.

Shireen T. Hunter, Iran divided. The historical roots of Iranian debates on identity, culture and governance in the twenty-first century, Rowman and Littlefield, 2014 p. 183

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