Concorso Shab-e Yalda

Ecco i nomi dei primi tre classificati

Antonello Sacchetti

1/20/20247 min read

red fruit in macro shot
red fruit in macro shot

I primi 3 classificati del concorso Shab-e Yalda 2023

1° Premio

“Una notte ai confini del mondo”. Racconto di Silvia Marigonda

2 ° premio

Notte di Yalda. Poesia di Nina Sadeghi

3° Premio

A me basta quella luce. Poesia di Enea Bonato

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Una notte ai confini del mondo

Racconto di Silvia Marigonda

Come sarebbe stato il cielo visto dall’altra parte della Terra?
Era la prima cosa che si era chiesto quando gli avevano comunicato che di lì a poco sarebbe sbarcato in Argentina, e lì sarebbe rimasto, dopo tutti quegli anni passati sulle navi cargo di tutto il mondo.
Il “persiano”, così l’avevano chiamato fin da subito e quel nome gli era rimasto addosso tutta la vita, e anche ora, che ormai era vecchio e aveva conosciuto tutti gli oceani e i mari e i porti e le genti dei più svariati paesi, bastava questo appellativo ad evocare la sua origine, un po’ misteriosa, ammantata di esotismo e di antico, e quasi ne giustificava lo starsene in disparte giù in coperta o il silenzio delle notti sul ponte delle navi, a guardare il cielo, appunto.
La sua malattia era di quelle che non lasciava troppo spazio alla speranza e lui lo sapeva, ma se ne curava appena: da tempo aveva imparato a prendere solo quel che portava il singolo giorno, senza cercarne un senso nel prima o nel dopo.

Rio de La Plata si mostrò all’improvviso, o forse atteso da tutta una esistenza, ed anche il congedo, il mattino dopo, sarebbe stato assai breve: un sacco con raccolte poche cose, qualche parola d’addio, forse una stretta di mano prima dello sbarco.
Aveva scelto lui quell’ultima destinazione: era abbastanza lontana dall’oriente a cui non voleva tornare e poi lo attraeva la distesa della pampa di cui gli aveva parlato un oriundo di sant’Antonio de Areco qualche decina d’anni prima.

Là dove il verde dei campi si confonde con il colore del cielo.

Però ultimamente, proprio come quell’ultima sera sulla nave ancorata, gli capitava sempre più spesso di ritrovare nella mente immagini che credeva dimenticate quando, ragazzo, dopo la morte del genitori in circostanze oscure, e quello zio che si era portato via tutto minacciando lui stesso, era scappato nottetempo dal villaggio di جوبار e anche allora tutta la sua Vita era entrata in un solo sacco. Poi gli incontri e le occasioni, non sempre facili, lo avevano portato nel sud dell’Iran e dà lì per mare, col passato che credeva per sempre rinchiuso in fondo al cuore.

Nei suoi ricordi, le rivedeva, là al villaggio e poi nella città vicina, کرمان si chiamava, donne e fanciulle che ricamavano tessuti di seta di ogni colore con disegni di animali e di uccelli, con le mani bianchissime che si muovevano veloci e intanto cantavano una nenia sommessa, mentre coltri e guanciali si riempivano di figure splendide e delicate.

Gli avevano raccontato che là in Sudamerica c’erano montagne altissime e forse erano persino le più belle di tutto il pianeta, con i loro colori e i deserti, i vulcani e le nevi perenni.
Lui non le avrebbe mai viste, però ricordava altre montagne, quelle del suo lontanissimo paese, dove nascevano i falconi, fra i più potenti volatori, rossi nel petto e sotto la coda.

Volavano con una tale velocità che non pareva potesse esserci preda al mondo capace di sfuggire, prima di ritornare, miti e delicati, a posarsi sul braccio levato di suo padre...

All’improvviso, immerso in questi pensieri, sentì un grido, poi urla concitate. Uscì dalla cabina e non gli ci volle molto per capire il motivo di tutto quel trambusto.
Carlos, il ragazzo salito a bordo a Puerto Rico, che da subito si era dimostrato uno scavezzacollo difficilmente gestibile, era venuto alle mani con uno dei marinai in seconda durante la cena e lo aveva ferito malamente usando un coltello da cucina, prima di scappare dalla nave e perdersi nei meandri del porto. Invano avevano provato a raggiungerlo, mentre il capitano gridava ordini perentori e il ferito si lamentava per il dolore.

Il “persiano”, quel ragazzo un poco l’aveva preso subito in simpatia. Gli ricordava il suo stesso impeto, la rabbia di quando aveva la stessa età, e forse anche un poco quella feroce nostalgia che aveva tenuto a bada col duro lavoro e che Carlos invece combatteva, non senza suscitare l’accesa ironia degli altri marinai, leggendo libri di poesie.

La notte trascorse tranquilla e al mattino tutto si svolse come previsto. Dopo poco più di un’ora dallo sbarco, era già sul bus diretto nel cuore della pampa argentina.
Quando scese nella piazza deserta di Sant’Antonio, la luce, in quell’inizio dell’estate australe, era abbagliante. Il caldo rendeva il paese sonnolento, c’era solo qualche cane a cercare sollievo all’ombra.

Presa una camera per la notte nell’unico alberghetto del paese, dove una vecchia sdentata l’aveva accolto col sorriso di chi si desta in quel momento da un sogno sereno, anche il “persiano” raggiunse gli alberi lungo il fiume.

Avvicinarsi all’acqua, dopo tanto navigare, gli dava sempre una sensazione di sicurezza e, in qualche modo, di casa, anche se si trovava in un paese a lui sconosciuto.
Si sedette all’ombra, stanco e accaldato, e solo allora ricordò che quella, nel suo paese lontanissimo, sarebbe stata la notte più lunga dell’anno, e avrebbe segnato l’inizio dell’inverno.

Chiuse gli occhi, poggiando il capo sul tronco nodoso e rivide una tavola imbandita, col melograno, le noci, il riso, i dolci e le candele, gli parve di sentire persino il profumo, mentre scorgeva il dolce sorriso della mamma e le forti braccia del papà lo tiravano a sé...

“Vuoi dell’anguria? – chiese una voce all’improvviso – so che stanotte laggiù in Iran la mangiate”. Si ridestò all’improvviso e, oltre una fetta succosa e colorata, vide il volto di Carlos chinato su di lui.
Esitò un istante, poi guardò quegli scuri che brillavano, mentre i suoi si riempivano di lacrime:
“Shab-e yalda mobarak” – sussurrò piano, ritrovando parole che credeva ormai dimenticate.

Si sedettero l’uno accanto all’altro, mangiando anguria e rimanendo a lungo in silenzio con i propri pensieri: il ragazzo che cercava il suo posto nel mondo, il vecchio che forse lo stava ritrovando dopo tanto tempo.
Fu Carlos, ormai all’imbrunire, a parlare nuovamente:
“Non volevo ferirlo, quel marinaio, ma da giorni continuava e prendermi in giro per i miei libri, e quella sera è arrivato a gettarne uno in mare... Io leggo tanto perché vorrei fare lo scrittore, sai, ma nel mio paese non ho alcuna possibilità: volevo studiare ma mio padre mi ha imposto di aiutarlo nei campi, mi ha anche picchiato e allora un giorno sono scappato e mi sono imbarcato per girare il mondo, guadagnare qualche soldo e magari un giorno diventare qualcuno...poi è successo quello che è successo...”

Il “persiano” lo ascoltava pensieroso. Lui non era bravo con le parole, per questo non parlava mai molto o forse anche perché da tempo aveva perduto le uniche persone alle quali avrebbe voluto dire tante cose. Però lo sapeva che niente accadeva per caso,

ma doveva esserci una ragione per la quale aveva attraversato il mondo e l’esistenza per ritrovarsi lì sotto una quercia, in una sera d’estate che nel suo ricordo era d’inverno, con un ragazzo che gli parlava dei suoi sogni.
D’improvviso gli tornò alla memoria un’altra notte di Yalda, così remota che credeva di averne perso ogni ricordo. Quella notte in cui suo padre, preso tra le mani il libro del Poeta, ne aveva aperto una pagina solo per lui e gli aveva letto le stesse parole che ora lui disse a Carlos:

“Vorrei poterti mostrare, quando sei solo o nell’oscurità, la straordinaria luce del tuo Essere1 – questo scrisse il più grande poeta del mio paese. Davanti alle difficoltà, a quanti non ti comprenderanno e magari ti derideranno, come quel marinaio, dovrai sempre tenere a mente questo che ti sto dicendo. Anche quando i tuoi sogni sembreranno spegnersi come le stelle alla luce del giorno, tu continua a lottare per loro e allora si riaccenderanno più luminosi ancora quando scenderà di nuovo la notte.”

Carlos guardò il vecchio con i suoi grandi occhi scuri e gli sorrise.
“Gracias” – sussurrò, poi prese il libro che aveva portato con sé e cercò con cura una pagina della quale aveva piegato l’orlo. Disse che c’erano dei versi del più grande poeta argentino2 dei quali voleva fare dono all’uomo venuto dall’oriente, versi che erano come quel braccio che si offre all’altro quando il suo passo si fa incerto e stanco, perché torni a camminare senza troppa fatica, qualunque sia la sua destinazione

“Vivo tra forme luminose e vaghe / che non sono ancora le tenebre. (...) / I miei amici non hanno volto, /le donne sono quello che erano molti anni fa, / gli incroci delle strade potrebbero essere altri (...) / Tutto questo dovrebbe intimorirmi, / ma è una dolcezza, un ritorno. (...) / Quei cammini furono echi e passi, / donne, uomini, agonie, resurrezioni, / giorni e notti, / dormiveglia e sogni, / ogni infimo istante dello ieri / e di tutti gli ieri del mondo (...) / Adesso posso dimenticarle. Arrivo al mio centro, / alla mia algebra, alla mia chiave, / al mio specchio. / Presto saprò chi sono.”

“Shab-e yalda mobarak”, gli disse infine.
Che sia di nuovo giorno per tutti, dopo la notte più lunga.

1 Khāje Shams o-Dīn Moḥammad Ḥāfeẓ-e Shīrāzī (1315-1390), “Un giorno il sole”

2 Jorge Luis Borges (1899-1986), “Elogio dell’ombra”

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Notte di Yalda

Poesia di Nina Sadeghi

Il desiderio di averti in me, non era mai calato.

oh, Dio Mitra!

ora che

la tua nascita si avvicina, la tua immagine più solare che mai si risveglia nei miei sogni.

la lunga notte

è domani

in questa fredda terra

senza fiori,

dove l'annuncio di primavera è solo una grande menzogna.

domani,

nella notte del solstizio la poesia andrà in travaglio e tu nascerai

nel sogno delle parole d'amore.

Poiché tu sei la luce e amore.

Dio Mitra!

riscalda le mie radici

congelate

col caldo sangue della vita.

Non vedi che sono in balia dei dubbi,

mentre ballo sulle scorie

degli istanti?

La legge della transumanza

mi ha allontanata dal Dio che scorre in te!

ma non ho

perso la speranza del richiamo della fede

verso i tuoi baci.

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A me basta quella luce.

Poesia di Enea Bonato

Il sole d’agosto mi accoglie sul grembo di mia madre.

Odori e suoni e mani e visi mi impressionano di archetipe rimembranze…

…sono io, uguale agli altri, da qualche millennio nasciamo così.

Cosa mi appartiene di questa luce? Che domanda strana…

Eppure, è la prima che mi è venuta in mente…

Lo sapevate? Occhi primordiali si sarebbero sviluppati da esoscheletri primordiali…

…ossa trasformate in vista, colori, immaginazione…sogno.

No, caro mio, un ricordo così antico non puoi possederlo, gestirlo, scambiarlo…

puoi solo lasciartene attraversare, anzi, anche se non vuoi, ti attraversa lo stesso…

fossero anche solo fotoni che non vedi, infrarossi che non vedi, ma che la tua fredda pelle sente, scaldandoti a poco a poco, fin dentro le ossa…

La luce dello spirito…a cui servono dogmi e religioni antiche antichissime nuove futurissime…

la luce degli ideali, il sol dell’avvenire, a cui servono vittime antiche antichissime nuove futurissime.

Mi sono dimenticato di cosa stessi parlando.

Forse cercavo di unirmi a tutti voi condividendo qualcosa di comune, una unica esperienza che ci accia sentire sorelle, fratelli, figli di un dio minore eppure presente…una unica luce per tutti che ci rappresenti senza sentirci più soli.

Perché abbiamo diviso questa luce che ci unisce in tante visioni diverse che ci separano

A me basta quella luce…a me basta quella luce.