La fotografia in Iran

STORIACULTURA

Romina Anardo

5/25/20122 min read

Introdotta nel Paese nel 1842, appena tre anni dopo la sua nascita, e sviluppata su impulso di Naser Al-Din Shah

La fotografia in Iran fu introdotta nel 1842, appena 3 anni dopo la sua nascita, durante il regno di Mohammad Shah, da un giovane diplomatico russo Nikolai Pavlov, sotto forma di dagherrotipo. Ma fu lo Shah Naser Al-Din, particolarmente attratto da questa nuova espressione artistica, ad introdurla a corte, pochi anni dopo, favorendone la diffusione. Da allora la fotografia è stata sempre presente nel panorama artistico iraniano, ogni importante evento storico è sempre immortalato dagli scatti di fotografi iraniani pronti a cogliere i cambiamenti della società. La poesia rimane ancora oggi in Iran il linguaggio artistico più amato, ciò nonostante la fotografia si è ritagliata un ruolo significativo nel panorama espressivo in quanto mezzo di rappresentazione della realtà a portata di tutti. Una realtà non manipolata dal regime, dalla stampa, dai partiti, dai religiosi, dalle televisioni straniere. Diruz ha deciso di dare spazio alla fotografia iraniana raccontando i più importanti avvenimenti della storia moderna e contemporanea dell’Iran attraverso l’obiettivo dei suoi fotografi più rappresentativi.

La fotografia arriva in Iran

Lo Shah Naser al Din (1831-1896) è un sovrano fortemente affascinato dalla tecnologia occidentale. È lui a introdurre in Iran il telegrafo e a sviluppare il sistema postale, a promuovere la massiccia costruzione di strade e a dar vita al primo quotidiano iraniano. Attratto dalla modernità occidentale, Naser al Din è il primo sovrano ad appassionarsi all’arte della fotografia tanto da introdurla alla sua corte affiancandola alla pittura. Da quel momento in poi la vita di corte non viene più solo rappresentata nei quadri dei pittori ma anche nei dagherrotipi di fotografi stranieri e dello Shah stesso.

Una nuova forma espressiva è di solito una deviazione di percorso di un’arte già esistente e il suo sviluppo rimane all’inizio ancorato alla forma d’arte originaria. Così anche in Iran la fotografia in principio ricalca i canoni e gli stili della pittura di fine ottocento, non ha una sua indipendenza e rimane tra le mura del palazzo reale. Il ritratto la fa dunque da padrone, proprio come nei dipinti di corte: i volti della madre di Nasser al Din , delle sue mogli e concubine sono le rappresentazioni fotografiche privilegiate. Unica nota di rottura con la tradizione sono le pose leggermente provocanti di alcune concubine.

Lo Shah negli anni si appassiona sempre di più alla fotografia sperimentandone diversi stili. Nasser al Din non è solo un avido fotografo ma anche un vero e proprio collezionista, tanto da possedere circa 20 mila fotografie originali. I soggetti delle immagini non sono solo più volti ma anche eventi ufficiali, paesaggi, scene di vita quotidiana, gente comune. Durante i suoi viaggi dentro e fuori l’Iran lo Shah non perde occasione per fotografare e farsi fotografare. Si ha l’impressione che ogni momento della sua vita debba essere immortalato e la fotografia è il mezzo ideale perché la pittura non ha la stessa velocità di rappresentazione.

Lo Shah viaggia molto anche fuori dall’Iran e invita nel suo Paese fotografi europei sia per immortalare ogni angolo del suo regno, sia per istruire i fotografi di corte sulle nuove tecniche. La fotografia, grazie alla sponsorizzazione di Nasser al Din sale quindi al rango di mezzo di espressione nobile.

Dalla corte alle strade

Durante gli ultimi anni del suo regno lo Shah Nasser al Din si trova a fronteggiare la pressione delle grandi potenze quali Russia e Gran Bretagna, da sempre attratte dalle possibilità commerciali con l’Iran. Inoltre in Iran scoppia nel 1891 l’imponente “protesta del tabacco” che impedisce alla la Gran Bretagna di appropriarsi del monopolio del commercio del tabacco iraniano. E proprio durante questo evento la fotografia si dimostra la forma artistica che più riesce a catturare la realtà del momento. Seguendo il corso della storia i fotografi documentano non solo le rivolte popolari e le prime rivendicazioni costituzionali, ma soprattutto immortalano la transizione di una società tradizionale verso la modernità.

E quest’ultima porta con sé la rivolta costituzionalista del 1906 le cui immagini più diffuse sono quelle delle manifestazioni popolari, foto ricordo che mostrano le strade affollate oltre, ovviamente, i ritratti dei protagonisti del movimento costituzionalista. Anche grazie a queste immagini la rivolta si diffonde velocemente e la fotografia si riscopre non più solo mezzo di espressione ma anche di comunicazione, iniziando il suo percorso di indipendenza dalla pittura.

Con l’ascesa al potere nel 1926 di Reza Khan Pahlavi, il regime scopre che la fotografia può essere un efficace mezzo di propaganda. La pittura rappresenta una realtà mistificata poiché è un’espressione dell’artista e quindi esplicitamente soggettiva. La fotografia, con la sua aura di oggettività, è un’istantanea della realtà la cui manipolazione, che comunque è presente, è più subdola. Reza Khan sfrutta questa peculiarità dell’arte fotografica per rafforzare la sua immagine e per creare consenso attorno al suo programma di modernizzazione legislativa, economica e culturale del Paese. Durante il primo regime Pahlavi secolarizzazione e tradizione si fondono a fini propagandistici e questo si riflette nelle rappresentazioni fotografiche ufficiali, in particolare quelle legate alla carta stampata su cui il regime ha un controllo diretto e molto rigido. Accanto a questo filone però iniziano a nascere anche i primi atelier fotografici privati. La diffusione di cartoline, l’introduzione delle carte d’identità, il desiderio delle famiglie di catturare i momenti più significativi, promuovono lo sviluppo indipendente generic propecia 5mg dell’arte fotografica. Certo non si può parlare ancora di arte popolare, ma da qui parte lo sviluppo di un’arte che negli anni a venire diverrà per gli iraniani un mezzo di espressione semplice e diretto per raccontare gli avvenimenti più significativi della storia del proprio Paese.

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